Marco Santagata racconta Dante e la Letteratura


“… l’amore, capisci?, è estasi. La poesia loda la bellezza del creato. Ti dico di più, amare un angelo in terra solleva l’anima in Cielo. Credimi, l’amore può salvare.”

Sabato 7 novembre, durante la seconda giornata del Pisa Book Festival edizione 2015, si è svolto un incontro a cura degli alunni del Liceo Buonarroti con Marco Santagata, che ha presentato al pubblico del salone per l’editoria indipendente il suo romanzo Come donna innamorata.

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Un momento dell’incontro con Marco Santagata al Pisa Book Festival.

Professore dell’Università di Pisa, critico letterario e saggista, tra i massimi dantisti e petrarchisti, curatore delle opere di Dante Alighieri e di Francesco Petrarca per i Meridiani Mondadori, Marco Santagata è anche una voce importante della letteratura italiana contemporanea, vincitore del Premio Campiello nel 2003 con Il Maestro dei santi pallidi, Premio Stresa di Narrativa nel 2006 con L’amore in sé e finalista del Premio Strega nel 2015 con il suo ultimo romanzo Come donna innamorata.

Proprio per parlare di questo suo libro, Marco Santagata è stato presentato al pubblico del Pisa Book Festival sabato 7 novembre alle 12:00 in Sala Fermi di Palazzo dei Congressi (sede ormai collaudata della manifestazione), un incontro curato dai ragazzi di una classe seconda del liceo scientifico statale Filippo Buonarroti di Pisa.

Io sono stato ad ascoltarlo durante il suo intervento; quindi l’ho intervistato poco dopo in sala stampa. Ecco di cosa abbiamo parlato.

Il titolo è tratto da un verso di Dante: non ha pensato a un titolo tutto suo per questo romanzo?

È il primo verso del XXIX canto del Purgatorio, e la donna cui Dante fa riferimento è Matelda, abitante del Paradiso Terrestre, che condurrà il Poeta al cospetto di Beatrice. In questo passo Dante cita un verso di Guido Cavalcanti, e a me serviva un titolo per collegare i due personaggi. Mi è venuto quasi subito, e non ne ho più pensato un altro. Stranamente, poi, la casa editrice – ho pubblicato il romanzo con Guanda di Parma – me l’ha subito accettato (di solito c’è una vera e propria lotta sul titolo tra casa editrice e scrittore: quasi sempre vince la casa editrice), poiché le parole “amore” o “innamorata” acchiappano di più; poi, che il verso non parlasse né di Dante né di Beatrice evidentemente era secondario per l’editore…

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La copertina del libro.

Un romanzo sulla vita di Dante non rischia di avvicinarsi più alla scrittura saggistica che a quella letteraria?

Il mio è un romanzo, mi sono inventato un sacco di cose, ma alla fine penso che la versione romanzata di Dante ne esca coerente con la figura storica. Per la ricostruzione mi sono basato sulla mia biografia Dante, il romanzo della sua vita, frutto di anni e anni passati a studiare il Sommo Poeta. Anzi, vuol sapere da cosa nasce questo romanzo? Mi era stata appunto proposta una biografia su Dante, ma io avevo in mente piuttosto un’autobiografia in cui fosse Dante stesso a parlare di sé. La cosa però non ha convinto l’editore, perché non voleva un libro di nicchia. Mi è quindi rimasta quest’idea di un Dante che si racconta, e da qui è nato il mio romanzo. È un dato di fatto che quando scriveva gli ultimi canti del Purgatorio – siamo nell’autunno del 1314 – la memoria della poesia di Cavalcanti gli era molto presente. Ed essendo il mio un romanzo, ci ho costruito sopra il rimorso di Dante che, come priore di Firenze, il 24 giugno 1300 fu costretto a mandare in esilio l’amico e maestro Guido, che sarebbe poi morto per la malaria contratta proprio durante l’esilio. Quindi è sicuro che per Dante fosse un tarlo, e nel libro lo faccio in qualche modo riconciliare con l’amico, almeno nella sua memoria.

E per raccontare tutto questo, che tipo di registro linguistico ha scelto di adottare?

Il problema del registro me lo sono posto. Per un libro che ha come protagonista Dante Alighieri viene spontaneo adottare una lingua ricca anche da un punto di vista retorico, una scrittura “di ricerca”. Questa idea, però, l’ho scartata subito, perché trovavo ridicolo mettermi in competizione con lo stesso Dante. Quindi ho preferito una scrittura piana, referenziale, che non presentasse particolari complicazioni sul piano della lingua. O meglio, spero di esserci riuscito.

Il libro è diviso in due parti: Bice e Guido. È per ricalcare una dicotomia tra amore e amicizia?

L’amicizia con Guido c’è, ma l’amore con Beatrice non proprio. Dante era innamorato piuttosto della sua scrittura. A tal proposito, anzi, vorrei ribadire che la storia d’amore tra Dante e Beatrice in effetti non c’è mai stata. I testi beatriciani sono pochi, nella Vita Nuova ci sono molti più testi dedicati alla cosiddetta “donna pietosa”. Tuttavia, i pochi versi dedicati a Beatrice sono quelli della svolta! Nel mio romanzo Dante emerge come un uomo inesperto dal punto di vista amoroso, e la sua unica relazione d’amore è con la moglie (ma questo, inutile dire che me lo sono inventato…) Vorrei inoltre riabilitare la figura di Dante: si pensa sempre a un uomo storicamente triste e solitario, ma non era affatto così!

Durante la scrittura, si è immedesimato nel suo Dante? E cosa provava mentre scriveva?

Nel personaggio Dante mi sono ovviamente immedesimato. Cosa provava Dante scrivendo? Un’immensa felicità, credo, quando i versi sgorgavano dalla sua vena poetica e fluivano direttamente sulla carta. Cosa provavo io? Più o meno la stessa cosa. La scrittura creativa poggia sull’ignoto, sul vuoto assoluto, al contrario della scrittura saggistica. Quando scrivi un romanzo, entri dentro un tunnel che non sai dove andrà a finire, se andrà a finire. Hai un’idea, ma non sai se la porterai fino in fondo. E poi, una volta che scrivi un romanzo – o almeno per me è così – ti assorbe totalmente, e non te ne stacchi più, non interrompi mai, ci pensi anche quando vai a mangiare, o quando stai per addormentarti. Gran parte della scrittura è mentale, e non si svolge davanti al computer, ma quando passeggi o giri in macchina. Questo ti occupa totalmente. Io cerco di posticipare sempre l’inizio di un racconto o di un romanzo, proprio per la paura di entrare in quel tunnel, e non poter sapere se ne uscirò. Tuttavia, quando finisci un libro, esci da qual tunnel, ti senti liberato. Sì: diventi un uomo libero.

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Santagata durante la videointervista nella sala stampa del Pisa Book Festival (vedi sotto).

Da addetto ai lavori, cosa pensa della critica letteraria?

Mi sono formato in un’epoca in cui si credeva che contasse solo il testo, mentre la biografia dell’autore, o comunque tutti gli aspetti esterni, erano considerati ininfluenti per la comprensione dell’opera. Tale visione ha comportato, a mio avviso, un diluvio di studi che non ha prodotto niente. Dietro c’era l’idea che ci fosse uno statuto scientifico per gli studi letterari. Io mi rifiuto di crederlo, tant’è che mi rifiuto di parlare di “ricerca” per il nostro lavoro, ma piuttosto lo definisco “studio”, che è un altro discorso. Ritengo che un grande critico letterario sia quello in grado di portare agli altri le sue convinzioni: chi non sa scrivere, chi ha solo tecnica ma non orecchio, non può fare questo mestiere. Perché anche la saggistica è letteratura; di altro tipo, ma è letteratura! Il prevalere della tecnica, che molto spesso si associa a una mancanza di creatività e inventiva, fa sì che in Italia manchi la divulgazione. E se non siamo più mediatori tra testo a pubblico, serviamo a ben poco. Di questo la società se n’è accorta, e ci ha relegato alle gabbie e allo zoo dell’ambiente universitario.

E come affronta il rapporto tra letteratura e critica letteraria, che convivono in lei?

Personalmente sento i limiti del mio lavoro di critico e di storico. Con gli strumenti della critica non riesco ad arrivare dove voglio, ed è forse per questo che mi sono dato a un altro tipo di scrittura: non m’interessa tanto il rapporto tra biografia e opera, quanto piuttosto quella zona in cui la biografia non è più biografia e l’opera non c’è ancora, dove germinano le idee, quella che un tempo si chiamava ispirazione. Quella zona non la puoi penetrare con la scrittura saggistica, ma con quella creativa sì, e forse in questo modo puoi dire anche qualcosa di sensato sull’opera.

Una delle cose che più colpisce il lettore è l’epilessia di Dante: è una sua invenzione o una ricostruzione storica?

Due studiosi lombrosiani avevano già sostenuto che Dante fosse epilettico, e furono per questo accusati di aver infamato un padre della patria! Il loro studio, tuttavia, pur giungendo a una conclusione molto interessante, era davvero poca cosa, perché semplicemente si basava sul seguente sillogismo: l’epilessia è un sintomo di genialità, Dante era geniale, dunque Dante era epilettico. In un libro che ho scritto un po’ di anni fa, L’io e il mondo, avevo già tirato fuori questa cosa dell’epilessia di Dante, aspetto che io ho ricostruito invece sulla base dei testi di Dante stesso, il quale addirittura descrive un attacco epilettico che si manifesta nella sua prima infanzia. E dimostra di averne anche cognizione medica, descrivendola chiaramente in alcuni passi. Era vista come una malattia infamante e socialmente pericolosa all’epoca, perché si pensava fosse trasmissibile. In diverse canzoni Dante parla dell’epilessia, presentata come un segno di predestinazione: solo lui ha avuto questa condanna come un dono, segno della divinità che lui è diverso, predestinato, prescelto. L’idea della predestinazione è costante in Dante, e la malattia è solo uno dei segnali che gliene danno conferma…

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Una vista della sala Fermi durante l’intervento di Santagata.

In conclusione: cosa ne pensa di questo progetto che vede qui al Pisa Book Festival ragazzi delle scuole medie e superiori presentare grandi scrittori come lei?

Lo trovo divertente. È interessante che ragazzi della loro età – o almeno una buona parte – abbiano letto il mio libro (anche se qualcuno sarà stato probabilmente “costretto” dai suoi professori). E si capisce che l’hanno letto dalle loro domande, alcune delle quali davvero molto interessanti e puntuali. È un’iniziativa buona, perché serve in generale a chiunque, e in particolare a loro, il doppio livello della lettura e poi del confronto diretto con l’autore, capace di innescare un cortocircuito molto positivo.


Intervista apparsa, in forma ridotta, su Pisa24 l’8 novembre 2015
(vai all’articolo).

La videointervista a Marco Santagata realizzata, nella sala stampa del Pisa Book Festival, dalla bravissima e simpaticissima Emilia Vaccaro.

8 pensieri su “Marco Santagata racconta Dante e la Letteratura

  1. A me Come donna innamorata è piaciuto molto. Immaginavo che qualcosa fosse stato inventato, ma Santagata è un esperto di Dante e non ho mai creduto che l’avesse stravolto. Ha raccontato il poeta in modo meno scolastico e meno scontato possibile: la lettura del libro potrebbe offrire l’occasione di far avvicinare a Dante anche i più scettici.

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    1. Hai ragione: Marco Santagata ha speso una vita a studiare Dante, e nessuno meglio di lui poteva restituirci un’immagine storicamente più fedele – seppur con un pizzico di romanzesco – di questo incredibile personaggio, reso molto più umano rispetto a quell’immagine ieratica che alberga nell’opinione comune…

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