L’eredità di Luigi Pirandello


Luigi Pirandello (Girgenti, 28 giugno 1867 – Roma, 10 dicembre 1936), Premio Nobel per la Letteratura nel 1934, è vissuto a cavallo tra Ottocento e Novecento, ed è stato sicuramente uno dei principali protagonisti della crisi dei due secoli. Comprese a fondo il disintegrarsi dell’io e, come Nietzsche, percepì il nulla su cui poggia l’ordinato sistema di valori, che l’uomo si è costruito per proteggersi dal caos della vita.

Le tematiche principali del pensiero pirandelliano, che rappresentano la sua più grande eredità, ci mostrano questo straordinario autore del secolo scorso come un grande interprete della crisi:

  • Perdita d’identità dell’uomo moderno
  • Forma e vita
  • La maschera
  • Relativismo conoscitivo
  • Immaginazione e follia come uniche vie di uscita dalla “trappola” della società e della famiglia
  • Saggio “L’Umorismo” – Il sentimento del contrario

Ripercorriamo alcune di queste tematiche attraverso dei passi tratti dalla sua opera.

Perdita d’identità dell’uomo moderno

UnoNessunoCentomilaSerafinoGubbioOperatorePirandello

La vita ingojata dalle macchine è lì, in quei vermi solitarii, dico nelle pellicole già avvolte nei telaj. Bisogna fissare questa vita, che non è più, perchè un’altra macchina possa ridarle il movimento qui in tanti attimi sospeso. Siamo come in un ventre, nel quale si stia sviluppando e formando una mostruosa gestazione meccanica. […] Vado dal magazziniere a provvedermi di pellicola vergine, e preparo per il pasto la mia macchinetta. Assumo subito, con essa in mano, la mia maschera di impassibilità. Anzi, ecco: non sono più. Cammina lei, adesso, con le mie gambe. Da capo a piedi, son cosa sua: faccio parte del suo congegno.”

Da Quaderni di Serafino Gubbio Operatore

Forma e vita

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Possiamo conoscere soltanto quello a cui riusciamo a dar forma. Ma che conoscenza può essere? È forse questa forma la cosa stessa? Si, tanto per me quanto per voi; ma non così per me come per voi: tanto vero che io non mi riconosco nella forma che mi date voi, né voi in quella che vi do io; e la stessa cosa non è uguale per tutti e anche per ciascuno di noi può di continuo cangiare, e di fatti cangia di continuo. Eppure, non c’è altra realtà fuori di questa, se non cioè nella forma momentanea che riusciamo a dare a noi stessi, agli altri, alle cose.”

Da Uno, nessuno e centomila

Relativismo conoscitivo

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Io posso credere a tutto ciò che voi mi dite. Ci credo. Vi offro una sedia: sedete; e vediamo di metterci d’accordo. Dopo una buona oretta ci siamo intesi perfettamente. Domani mi venite con le mani in faccia, gridando: – Ma come? Che avete inteso? Non mi avevate detto così e così?

Così e così, perfettamente. Ma il guajo è che voi, caro, non saprete mai, né io vi potrò mai comunicare come si traduca in me quello che voi mi dite. Non avete parlato turco, no. Abbiamo usato, io e voi la stessa lingua, le stesse parole. Ma che colpa abbiamo, io e voi, se le parole, per sé, sono vuote? Vuote, caro mio. E voi le riempite del senso vostro, nel dirmele; e io nell’accoglierle, inevitabilmente, le riempio del senso mio. Abbiamo creduto di intenderci; non ci siamo intesi affatto.

Da Uno, nessuno e centomila

Il sentimento del contrario

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Vedo una vecchia signora, coi capelli ritinti, tutti unti non si sa di quale orribile manteca, e poi tutta goffamente imbellettata e parata d’abiti giovanili. Mi metto a ridere. Avverto che quella vecchia signora è il contrario di ciò che una vecchia rispettabile signora dovrebbe essere. Posso così, a prima giunta e superficialmente, arrestarmi a questa impressione comica. Il comico è appunto un avvertimento del contrario. Ma se ora interviene in me la riflessione, e mi suggerisce che quella vecchia signora non prova forse nessun piacere a prepararsi così come un pappagallo, ma che forse ne soffre e lo fa soltanto perché pietosamente si inganna che, parata così, nascondendo così le rughe e la canizie, riesca a trattenere a sé l’amore del marito molto più giovane di lei, ecco che io non posso più riderne come prima, perché appunto la riflessione, lavorando in me, mi ha fatto andar oltre a quel primo avvertimento, o piuttosto, più addentro: da quel primo avvertimento del contrario mi ha fatto passare a questo sentimento del contrario. Ed è tutta qui la differenza tra il comico e l’umoristico.

Da L’umorismo

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